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Armando Aquilano e Peppe Calabrò: i due nicoteresi figli adottivi di Polistena

2022-04-08 11:52

Angela Galluccio

CALCIO, Altre News sul Calcio,

Armando Aquilano e Peppe Calabrò: i due nicoteresi figli adottivi di Polistena

Il calcio è uno sport che racconta, che crea trame e storie, fino a fondere il tutto in una, così definita, epica calcistica moderna. Mentre Pierpaolo

Il calcio è uno sport che racconta, che crea trame e storie, fino a fondere il tutto in una, così definita, epica calcistica moderna. Mentre Pierpaolo Pasolini ha descritto il gioco del calcio come un linguaggio con i suoi poeti e i suoi prosatori, altri, invece, lo hanno accostato ad una forma d’arte popolare. Circa 57 anni fa a Polistena veniva scritta una delle storie calcistiche più belle di sempre, tale da rimanere impressa nei ricordi di chi quei momenti li ha davvero vissuti. Tra quei poeti, autori di vittorie spettacolari, figuravano due giovani ragazzi di Nicotera che furono adottati dalla cittadina intera e dai suoi tifosi grazie alle loro incredibili prodezze. Stiamo parlando di Armando Aquilano e Peppe Calabrò, rispettivamente attaccante e portiere di quella storica squadra che raggiunse un traguardo eccezionale: la promozione in Serie D.

 

Prima di essere una storia di calcio è quella di un'amicizia fraterna e le parole di affetto, espresse l’uno per l’altro, ne sono la prova intangibile. Nati entrambi a Nicotera Marina, Aquilano e Calabrò sono legati dalla stessa passione per il calcio da sempre: “Io e Peppe siamo cresciuti insieme, essendo coetanei abbiamo frequentato le stesse scuole per un po’ di anni. Ricordo che quando tornavamo a casa con la navetta ci fermavano sempre in un piazzale per giocare a pallone.” (Aquilano)

 

A quel tempo, però, bisognava reinventarsi con quello che si aveva per organizzare delle partitelle tra i ragazzi del posto. Le reti da pesca e dei bastoni di legno venivano utilizzati per creare le porte, mentre la spiaggia era quasi sempre il campo da gioco: “Questo ci è stato sicuramente molto utile perché siamo stati abituati a giocare su terreni difficoltosi. Ci capitava spesso di organizzare delle partite infinite tra di noi sotto i lampioni della strada e in tutte quante io facevo da portiere”. (Calabrò)

 

“A 5 anni mio padre mi regalò il mio primo pallone fatto di gomma, mentre qualche anno dopo passai ad un palloncino di cuoio. La mia passione per il calcio era tale da trascorrere giornate intere a casa di mia nonna e lì, in una stanza vuota, tracciavo una porta in miniatura su una parete. L’obiettivo era quello di centrare il bersaglio con il pallone e questo semplice esercizio mi ha aiutato ad essere preciso con i piedi. Saper colpire sia con il destro che con il sinistro è un’abilità importante da possedere.” (Aquilano)

 

Prima di vestire i colori rossoverdi, entrambi hanno vissuto esperienze diverse.  Nel caso di Armando Aquilano, le sue abilità non passarono inosservate e nonostante la giovanissima età giocò per la Gioiese. In quel periodo mise a segno un numero considerevole di reti e il suo talento gli aprì la strada per un’occasione speciale: “Quell’anno, il 1963, ero a Milano perché andai a trovare i miei parenti. Era la fine dell’estate ed ero stato chiamato per giocare una partitella di calcio. Il padre di uno degli altri ragazzi lavorava a Milanello e dopo avermi visto giocare mi disse che mi avrebbe portato lì per fare un provino.” (Aquilano)

 

Sebbene l’esperienza di Aquilano fosse limitata a dei campi modesti, il suo talento fu sufficiente a guadagnarsi un posto nella squadra giovanile del Milan. Lì, ebbe l’occasione di crescere al fianco di figure che il calcio nazionale conosce ancora molto bene, tra cui Altafini, Rivera, Maldini e i suoi compagni di squadra Prati e Vecchi: “Ricordo che tra tutti c’era un ex portiere della Roma, Luciano Tessari, che mi aveva preso sotto la sua ala. Ogni tanto capitava che negli allenamenti giocasse in porta e in quelle occasioni riuscivo a fargli dei goal abbastanza elaborati. Quando si consultava con Liedholm, che a quel tempo guidava la squadra, gli suggeriva sempre di mettermi davanti perché segnavo molto”. (Aquilano)

 

L’esperienza al Milan durò un solo anno perché fu costretto a rientrare a Nicotera dopo la scomparsa di suo padre. All’epoca, come ricorda Aquilano, si era soliti pensare che il calcio fosse una distrazione dallo studio e per questo motivo dovette rinunciare a molte squadre, tra queste Reggina, Lecce e Catanzaro: “Ricordo di aver rivisto Liedholm qualche anno più tardi quando giocavo a Polistena. Eravamo in un ristorante, fu un incontro fortuito perché noi avevamo in programma una sfida contro la Villese, invece lui che all’epoca allenava il Verona doveva giocare contro la Reggina. Mi disse che per le mie doti e qualità avrei potuto avere una carriera diversa, come quella dei miei compagni al Milan che alla fine hanno giocato tutti tra la Serie A e la Serie B. La frase che mi disse la ricordo ancora oggi: «Peccato che tu sia andato via dal Milan, finché la palla corre sul prato va inseguita». Fu una sorta di monito a non mollare mai nel calcio.”

 

Un’occasione importante arrivò quando Giacomo Corica, amico di famiglia e allora giocatore del Cittanova, lo spinse a fare un provino per la squadra del Polistena. Anche in quel caso, Aquilano riuscì ad entrare in squadra, nonostante si trattasse ancora di un progetto in fase di costruzione: “Il nostro gruppo all’inizio era composto da una parte di calciatori locali come Pino Cosentino e Gaetano Bombino, altri provenivano dai paesi limitrofi, come me e Calabrò, e infine c'era un gruppo considerevole di reggini, tra cui Autellitano, Nigero, Scarfò, Adornato e Calia, che andarono poi a costituire la maggioranza della squadra.” (Aquilano)

 

Per quanto riguarda Giuseppe Calabrò, dopo un’esperienza nella Rosarnese Juniores arrivò anche lui a Polistena: “Elvio Guida, che all’epoca allenava la squadra allievi, è stato decisivo per il mio trasferimento. A 17 anni, ho poi debuttato con la prima squadra in Promozione perché il portiere, Falcomatà, si era trasferito per questioni lavorative. Ricordo che la prima partita che ho giocato è stata a Cittanova per la Coppa Italia e da quel momento sono diventato titolare.” (Calabrò).

 

Da compagni di squadra sia Aquilano che Calabrò, definiti dai giornali locali “Le colonne del Polistena”, presero parte ai successi che portarono in alto il nome della squadra polistenese: il primo, soprannominato testa d’oro, a suon di goal e il secondo, il ragno nero, con parate acrobatiche.  Nella stagione 1965/66, la squadra vinse il suo girone e sfiorò la Serie D (all’epoca definita Quarta Serie) in uno spareggio contro il Nicastro: “Quella partita la giocammo al San Vito di Cosenza che era stato inaugurato da poco dalla Nazionale italiana in una gara contro la Jugoslavia. La nostra gara di andata finì 0-0. Ricordo di aver realizzato diverse parate, mentre Armando (Aquilano) sbagliò un goal proprio sul finale a tu per tu contro il portiere. Al ritorno invece sbagliai io e perdemmo 4-1” (Calabrò).

 

L’anno successivo il Polistena si rinforzò e a quel tempo, sottolinea Calabrò, giocare lì era motivo di vanto e orgoglio per tutti. Uno dei principali segreti dei loro successi fu senza dubbio il forte legame che si creò all’interno del gruppo squadra. Gli stessi tifosi avevano contribuito a creare quel clima di familiarità e sia Aquilano che Calabrò sono grati dell’affetto che hanno ricevuto in quegli anni: “Il 6 aprile 1969 si giocò una partita tra la Rappresentativa calabra e quella lombarda a Polistena, vinta da noi per 3-0. In quell’occasione io non ero partito titolare e ricordo che per tutta la durata del primo tempo il pubblico polistenese continuava ad invocare il mio nome. Alla ripresa, l’allenatore fu costretto ad inserirmi e segnai il secondo goal al 47’.” (Aquilano)

 

Come già anticipato, l'apoteosi per il Polistena arrivò nella stagione 1966-67, con Aquilano e Calabrò protagonisti di vittorie e ottimi risultati. I giornalisti dell’epoca, tra cui Vincenzo La Gamba e Luigi Malafarina, descrissero Aquilano come un giocatore incisivo, le cui serpentine ubriacanti e i passaggi imprevedibili facevano la differenza:

 

“Sergi era il mediano del Polistena, tra me e lui c’era una grandissima intesa. I suoi calci d’angolo erano delle vere pennellate, a me bastava anticipare l’avversario e correggere di testa quei palloni tesi che arrivavano sul primo palo e infilarli in rete.” (Aquilano)

 

“Armando era un giocatore estroso, bravo a giocare d’anticipo, sapeva già dove sarebbe arrivato il pallone. Era forte anche nell’elevazione, segnava molto di testa.” (Calabrò).

 

Se in attacco i goal non mancavano, la porta del Polistena venne egregiamente difesa da Peppe Calabrò per tutta la prima parte della stagione. A marzo del 1967, fu infatti costretto a lasciare il suo posto a Francesco Fulco, suo secondo, per svolgere il servizio militare. Le sue parate acrobatiche gli valsero il record di imbattibilità che durò per ben 765 minuti e a quel tempo, sottolinea Calabrò, si trattava di un primato detenuto da lui, Zoff e il portiere del Foggia, Trentini. Il giornalista Luigi Malafarina parlò di lui come di un portiere saracinesca, dotato di gran classe, lucido tra i pali e tempestivo nelle uscite: “La sua passione per il calcio lo aiutò a sviluppare molte qualità. Aveva un’apertura di braccia eccezionale, riusciva a coprire bene la porta perché era abbastanza alto ed era difficile fargli goal.” (Aquilano)

 

Il campionato di quella stagione fu particolarmente combattuto e, tra tutti, i match più infuocati furono quelli contro Pro Pellaro, Palmese e Gioiese. Proprio nel derby della Piana ci fu un scontro molto accesso che portò alla sospensione della gara per alcune decisioni arbitrali. Come raccontato dalle cronache locali, all’85’ il Polistena si trovava in vantaggio grazie ad una rete segnata all'ottavo minuto da Versavia e alle splendide parate di Calabrò che avevano contribuito a contrastare l’offensiva Viola. A cinque minuti dalla fine della gara arrivò, però, l’episodio che generò le proteste dei tifosi locali: “L’arbitro aveva annullato un goal a Mimmo Mercuri perché mi aveva spinto in rete dopo che io avevo parato il suo tiro e il direttore di gara aveva, giustamente, annullato il goal. L’altro episodio riguarda una parata che ho effettuato proprio a ridosso della linea, ma secondo gli avversari il pallone era entrato” (Calabrò).

 

Dopo una stagione spettacolare, l’11 giugno 1967 arrivò la conferma per Aquilano e compagni: il Polistena si aggiudicò il primo posto del campionato dilettantistico del Girone B con una vittoria per 4-0 sulla Fortitudo Locrese. La squadra di Guida, definita “rullo compressore” dalla Gazzetta del Sud, conquistò la possibilità di giocarsi la promozione in Serie D contro il Morrone. Delle due gare contro i cosentini fu decisiva la partita di ritorno che finì 4-1 per i rossoverdi e Aquilano fu uno dei migliori in campo, con un 8 in pagella. L’anno successivo, il Polistena perse Aquilano che fu ceduto alla Vibonese, mentre Calabrò si trasferì alla Palmese. Lasciatesi alle spalle le vittorie polistenesi si aprirono nuove strade per entrambi. Calabrò non ha mai abbandonato il calcio e ha proseguito in Emilia con esperienze da allenatore e preparatore dei portieri. Aquilano, dopo una parentesi a Nicotera, si trasferì a Bologna. Lì, replicò quello che aveva fatto anni prima giocando in Promozione con una squadra dilettantistica, vincendo anche il titolo di capocannoniere.

 

Armando Aquilano e Giuseppe Calabrò sono figli di quel calcio puro e affascinante nato dalle strade, dalle piazze e dai cortili di quartieri popolari.  Storie come questa ci permettono di comprendere il vero significato per cui questo sport è nato. Il calcio è uno stile di vita e in virtù di questa ragione i valori che si apprendono nel rettangolo di gioco, come l’amicizia, l’umiltà e il rispetto, si ripercuoto anche nella vita sociale e professionale. Il racconto di chi lo ha vissuto davvero, come i protagonisti di questa storia, aiuta a non spegnere la magia del calcio e ad inseguire sempre questa passione.

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