In questo periodo c’è molta apprensione sul futuro della Reggina, ma è doveroso anche fare un focus sulla realtà presente nella nostra provincia. Una realtà non semplice, che vede parecchie società militanti nei vari campionati dilettantistici alle prese con notevoli difficoltà economiche e strutturali. Siamo ben consapevoli che non stiamo scoprendo nulla di nuovo, resta però il fatto che i problemi rimangono ancora irrisolti. Questa estate sembra essere ancora più rovente di quelli precedenti, con un numero sempre più elevato di cessione di titoli, maxi fusioni e mancate iscrizioni. Il sistema è giunto al collasso, nonostante i campanelli d’allarme lanciati che inspiegabilmente finiti nell’indifferenza più assoluta di chi di dovere. Il calcio dilettantistico è in difficoltà dal nord al Sud del Paese, ancor di più nella provincia reggina, dove c’è forte carenza di tante cose.
Come avete potuto leggere dall’intervista fatta la scorsa settimana all’esperto diesse Francesco Curtale, il quale ha ribadito quanto sia difficile sopravvivere in questi campionati. Chiaro che le colpe non possono essere attribuite esclusivamente al sistema, c’è da mettere seriamente in discussione le capacità manageriali della classe dirigente. Si sa che nel calcio dilettantistico i costi superano di gran lunga i ricavi, proprio per questo è fondamentale non fare mosse azzardate o il passo più lungo della gamba. Questo deve valere in particolar modo nella nostra provincia, purtroppo però si pensa soltanto a vincere ad ogni costo. L’obiettivo delle società è quello di vincere, pur a costo di investire oltre le proprie possibilità e provare a raggiungere dei traguardi difficili poi da mantenere. Da un lato è legittimo che sia così, mentre dall’altro si rischia di finire nel baratro senza neanche accorgersene.
Mai come ai tempi d’oggi è fondamentale che le società facciano calcio in maniera sostenibile, sposando con i fatti la linea verde e affidandosi a profili qualificati. Non sempre è così, perché si preferisce spendere cifre fuori portata, imbottire le rose di stranieri e puntare su allenatori ben sponsorizzati o su figure che hanno come scopo quello di speculare soltanto. Parliamo di un mal costume ben presente purtroppo anche nel professionismo, ma che riteniamo inaccettabile nel calcio dilettantistico e in quello giovanile. E’ ora che classe dirigenti si aggiorni e studi seriamente, rose composte per la gran parte da giovani calciatori che non vengano lanciati nella mischia perché lo impone un regolamento, bensì attraverso un percorso sano che parta dai Primi Calci. Vorremmo vedere questo tipo di calcio nel mondo dilettantistico.
Tutto ciò può sembrare utopistico, ma dovrebbe essere la strada da dover intraprendere il prima possibile. Tornando al tema delle strutture, è fondamentale creare una sinergia tra società e amministrazione comunale. Soltanto così si potrebbe pensare ad un’idea di calcio sostenibile e redditizia. Per fortuna ci sono anche delle eccezioni, società modello, delle gocce in mezzo all’oceano che non bastano a migliorare le sorti di un movimento in totale agonia. Fare calcio non è un obbligo per nessuno, ma una volta che si sceglie di volerlo fare serve serietà e competenza insieme al sostegno delle istituzioni locali. Se tutto questo viene a mancare il calcio diventa per certi soggetti nient’altro che una passerella, di cui ne faremmo volentieri a meno.
L’approfondimento fatto in questo articolo su un tema a noi così caro, non basterà sicuramente a cambiare le cose, ma chi opera nel mondo della comunicazione ha il dovere di mettere sotto i riflettori queste problematiche affinché si inizi ad intravedere la luce in fondo al tunnel.